Quella mattina l'aspettano sul set di un carosello con Anita Ekberg, la bionda che sembra uscita da una sua canzone. Ma Fred Buscaglione a Cinecittà non arriverà mai perché va a sbattere con la sua Thunderbird rosa quando Roma è bella nel risveglio, sotto il cielo appena grigio, e chiude a 38 anni una vita che è stata un'avventura. Milioni di persone hanno ascoltato la sua voce roca, ma nessuno c'è in quell'alba maledetta a raccogliere il suo ultimo respiro se non un lattaio, un bigliettaio di autobus, un automobilista di passaggio e un gatto. Ventimila persone seguiranno a Torino il suo funerale: incredule, perché per tutti Fred rappresentava la vita. I suoi dischi, a cinquant'anni dalla morte, si vendono ancora e risentire quella voce apre una vena di sottile nostalgia. Forse perché è la voce scherzosa ma anche malinconica di un'irripetibile, romantica stagione.
L'anticonformista
La vita di Fred è breve ma ricca di originalità. Nelle sue canzoni c'è un'ironia goliardica, amabile, non cattiva, un pizzico di anticonformismo e di affettuoso cinismo. Buscaglione canta un'Italia fiduciosa, bonaria, soddisfatta di sé, maschilista, conservatrice: l'Italia degli anni Cinquanta. Ha due grosse sfortune: fa parte della generazione che ha perso gli anni migliori per colpa della guerra e non è capace di vendersi. In compenso, ha alcune grandi chance: è un musicista vero, ha una voce arrochita inimitabile che coltiva con pacchetti di sigarette Caporal, interpreta un personaggio che piace e ha alle spalle un paroliere di grande talento come Leo Chiosso.
Le sue canzoni
Nel suo repertorio di trovatore paradossale di un mondo cinico e romantico, popolato di gangster e bambole, c'è di tutto: dalle canzoni romantiche, come Love in Portofino e Guarda che luna, a quelle irridenti, come Che bambola!, Teresa non sparare ed Eri piccola, a quelle autoironiche, come Perdonate se ho il whisky facile. Fred è un uomo pacifico, civile, innamorato della moglie Fatima, con la tendenza a ingrassare, incline alla malinconia nella vita. Ma è prigioniero del suo personaggio: "bruciato", spensierato, dedito all'alcol e alle femmine di lusso, randagio. La gente lo vuole così. Il suo pubblico aumenta e lo condiziona. La celebrità gli è arrivata addosso improvvisa, lo credevano un pazzo illuso invece vende più dischi di tutti (un milioni di pezzi di Che bambola! nel '56). Le sue "criminal song" sono sulla bocca di tutti, i suoi "mammiferi biondi" sono le sorelline autarchiche delle dive hollywoodiane alla Marilyn, protagoniste dell'immaginario erotico degli italiani. Guadagna mezzo milione a sera, ormai è lanciatissimo ma Fred è stanco, fuma troppo, beve troppo, non dorme e canta, canta, canta, per poi andare a schiantarsi alle 6 del mattino contro un muro nel cuore di Roma. Una fine precoce e ingiusta per Ferdinando, detto "Fred dal whisky facile", figlio di un imbianchino di Torino, l'uomo che Giuseppe Marotta aveva definito "fenomeno trionfante del circo della vita". Nel Roxy Bar di Vasco e in Certe notti di Ligabue c'è qualcosa di lui.